lunedì 2 luglio 2012
Tortelloni verdi. Quelli della nonna Amedea
Eccoci qua, a rispolverare un vecchio piatto di famiglia e a raccontarvi come è nato.
La nonna Amedea veniva da una lunga tradizione di street food, o meglio cibo di strada, o meglio ancora cibo da fiere. Quelle di bestiame e poco altro, perchè quando eravamo contadini e poveri le poche cose che si potevano comprare o barattare erano animali e uova con lo zucchero e il sale che chiaramente erano gli unici ingredienti che mancavano nelle famiglie. Mia nonna fin da bambina (una volta i bambini lavoravano e non era sfruttamento minorile, ma un altro modo di crescere) accompagnava suo padre nelle fiere e insieme cucinavano i classici piatti da strada. Secondo mio padre, che come lei ha sempre avuto grandi capacità culinarie, la sua vera specialità erano le frittelle di baccalà, capaci di resuscitare i morti, a quanto si diceva in famiglia. L'altro grande piatto era lo gnocco fritto che si gonfiava e sfrigolava nella padella dello strutto bollente. Mia nonna girava con suo padre di fiera in fiera con la sua cucina mobile; da bambina me la immaginavo un po' come Remì che si fa tutta la francia di paese in paese con un vecchio un cane e una scimmia. Mia nonna però mi diceva che lei di scimmie non ne aveva mai viste. Dai cibi per strada, dopo il matrimonio con mio nonno Luigi, è passata alla conduzione di un bar-trattoria-generi alimentari (così venivano chiamati i negozi dove si poteva trovare di tutto, dal sapone al sale allo zucchero all'olio per le lampade al vino rosso che macchiava le tovaglie). La trattoria-bar-generi alimentari si trovava sulla strada della transumanza, e mia nonna cucinava piatti poveri e solo per i passanti, perchè allora non c'era la moda di andare "fuori a cena". Il paesino si trovava sul Passo delle Radici, il fiume Secchia costeggiava tutto il paese, e spesso spaventava noi bambini con le sue piene e i suoi rigonfiamenti. Sembrava voler spazzare via tutto il paese ed è proprio per questo che ad un certo punto gli uomini hanno deciso di costruire il muro da cui poi prenderà il nome il paese: Muraglione. Finita la transumanza e iniziato il boom economico, il piccolo bar-trattoria-generi alimentari iniziò a preparare i pranzi dei matrimoni del paese. Ora finalmente c'erano un pò di soldi e si potevano organizzare piccole feste matrimoniali con pranzi dalle tante portate, molto simili alle vecchie sagre di paese. E qui anche mio padre iniziò l'arte della cucina: nel vecchio album di famiglia ho ritrovato un po' di foto dove si vede mia nonna con mio padre molto giovane. Da bambina la mia foto preferita era quella di mio padre con il ciuffo alla Elvis che teneva in mano un grande castello fatto di croccante. E io, trasognata di fronte a tale meraviglia, ho sempre sperato che anche al mio di matrimonio la nonna e mio padre mi preparassero un vero castello di croccante da offrire a me, regina per un giorno. Il sogno chiaramente non si è mai realizzato.
Le portate non erano tantissime, ma mai si potevano modificare, si iniziava con i tortellini in brodo, si passava ai tortelloni verdi, fatti con molte erbe e poca ricotta e non come si fanno a Modena con tanta ricotta e poche erbe, il lesso con la salsa verde (mio padre dichiara di avere una ricetta segretissima che non ha ancora passato a nessuno dei suoi figli), gli arrosti di coniglio e pollo, le tante torte tra cui le due regine, quella nera di mandorle e cioccolato e quella bianca di mandorle e tagliatelline. Quest'ultima è sempre stata per me una tragedia, perchè si prepara con molta lentezza e precisione e io da ragazzina, quando ho iniziato ad aiutare in cucina, non avevo né pazienza né precisione. Infine tutto veniva avvolto dalla morbida crema di una sontuosa zuppa inglese che, bagnata di rosso alchermes, a noi bambini faceva pensare al sangue delle tante ginocchia sbucciate per correre tra una portata e l'altra nel cortile a giocare a stella, a nascondino o a palla avvelenata. Non so come facessero i grandi allora a mangiare tanto e per così tante ore, ma so con certezza che, per noi bambini, questi infiniti pranzi erano momenti di scarso controllo da parte dei grandi e quindi di grande libertà e che facevamo a gara a chi si sbucciava per primo le ginocchia senza versare una lacrima di dolore.
E ora veniamo ai tortelli che ho fatto in un sabato bollente con mia sorella e con la stessa vecchia ricetta della mia amata nonna. Se non avete il tempo per prepararli, la stessa ricetta la potete trovare nei tortelli della Gastronomia Piccinini che ha recuperato la ricetta di mia nonna.
Ingredienti:
per la pasta
400 grammi di farina 0
4 uova
per il ripieno
200 grammi di ricotta di mucca
400 grammi di erbe miste, qui abbiamo messo spinaci selvatici, bietole e un pò di ortiche
100 grammi di parmigiano reggiano invecchiato 36 mesi
odori a piacimento
un po' di noce moscata se se ne ha voglia
per il condimento
100 grammi di burro fresco di panna
6/7 foglie di salvia fresca
parmigiano reggiano
alcune nocciole d'alba tostate
un pò di foglie di ortica lessate
Preparare la pasta:
setacciare la farina (è importante che sia la 0 perchè contiene più ceneri che la rendono più ruvida e profumata e meno glutine che la rende più liscia e scivolosa ) a fontana, sbattere le uova e amalgamare il tutto cercando di buttare la farina sulle uova utilizzando la spatola. Mettere l'impasto a riposare tra due fondine o in un sacchetto di plastica. Anche mentre la tirate non lasciatela mai scoperta perché se fa la crosta poi rompe la pasta quando la tirate sia con il mattarello che con la macchina.
Mentre si riposa, preparate il ripieno. Strizzate le erbe dopo averle scottate in un tegame con pochissima acqua. Tritatele grossolanamente con un coltello e passatele in padella con un pò di odori. Setacciate la ricotta aggiungete il parmiggiano reggiano e le erbe tritate, mescolate bene l'impasto e se vi va aggiungete una piccola grattugiata di noce moscata.
Tirate la pasta con la macchina, tagliate tanti piccoli quadrati che riempirete con un po' di ripieno e fate quella bellissima operazione che è chiudere il tortello a fazzoletto.
Infine:
Mettere a bollire 5 litri di acqua e a scioglire il burro con la salvia. Quando l'acqua bolle aggiungere un pugnetto di sale grosso e buttare giù i tortelloni, appena vengono a galla lasciarli qualche minuto e poi passarli nel burro sfrigolante. Frullare alcune foglie di ortica, cercando di mantenere tutta la clorofilla, impiattare mettendo un cucchiaio di clorofilla di ortiche, alcuni tortelloni, una spolverata di parmigiano reggiano e qualche briciola di nocciola d'Alba.
Come vino vi consiglio una bottiglia della cantina Vallona dei colli bolognesi. Amestesso vino bianco di pignoletto in purezza.
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