Se si parla di cibo di strada, Palermo è al primo posto: in
realtà, secondo una recente classifica redatta dal VirtualTurist e pubblicata
da Forbes, al quinto posto dopo Bangkok, Singapore, Menag e Marrakesh. Unica
città italiana entrata nella top ten.
Mentre si passeggia per
strada o per i suoi rumorosissimi mercati, il desiderio di fermarsi un attimo a
mangiare qualcosa è costante. Tante le
sollecitazioni visive, olfattive e di incredibili nomi che sanno di oriente e
di magie culinarie: le arancine (e non arancini perché le cose buone a Palermo
sono femmine), pane e panelle e arrascatura (per 1 euro e 50 le trovate
buonissime al mercato di Ballarò nella parte alta), pani ca meusa (i migliori
si trovano a Porta Carbone dal mitico “Nino ‘u ballerino”), piccole croché e minuscole arancine deliziose che potete trovare dai Cuochini (in via
Ruggero Settimo) che non si chiamano cosí perché i cuochi sono piccini ma
perché fanno tutto in porzioni ridotte. Per strada e nei mercati potete trovare
davvero di tutto, dalle stigghiole (budella di agnello lavate in acqua e sale,
condite con prezzemolo con o senza cipolla, infilzate in uno spiedino e
cucinate sulla brace), “pani ca meusa” (una focaccia soffice
farcita con milza di vitello, ritagli di polmone, esofago e fegato bianco, bollita
e ripassata nello strutto servito singolo o maritato cioè con o senza ricotta), il “quarume” (un bollito
misto di trippa servito dentro i “coppi”, dei coni di carta pesante), lo “sfincione” (una pizza alta e
morbidissima condita con pomodoro, cipolla, acciughe salate, caciocavallo e
pangrattato), le fritture “vastiddaru”,
i cannoli pieni di ricotta, le cassate, le ravazzate..
Se poi ci si siede in una vecchia trattoria i nomi infiniti di
piatti di paste e verdure vi ammalieranno prima ancora di averli assaggiati:
caponata, pasta con i broccoli arriminati, bucatini al nero di seppia, pasta
con l’anciova, pasta alla norma, pasta con le sarde, sfincioni di baccalà, i
timballi di anellini, le sarde alla beccafico, la trigghiola…
Girando per i mercati di Palermo, Ballarò, Vucciria e Il Capo, la
prima cosa che vi colpisce non sono le verdure straordinariamente grandi e
introvabili nei nostri mercati o i pesci freschissimi che si muovono nelle
ceste di vimini o sui tavoli di marmo o le infinite varietà delle olive che
fanno bella mostra in piramidi colorate o gli incredibili pezzi di carne di
manzo di cui non immaginavate la possibilità di essere commestibili (tette,
piedi, milza, interiore) ma la prima cosa che vi colpisce è la musica, il canto
continuo (le “abbaniate”) che i mercanti
in un dialogo di grida fanno tra di loro. E’ un vero e proprio canto, e viene il
desiderio di chiudere gli occhi e di lasciarsi condurre da questo canto
assaporando un bel panino con panelle appena fritte.
Ma io a Palermo non sono andata solo per mangiare ma per fare un intervento sui "Generi" in un festival di cinema molto particolare: il Sicilia Queer Filmfest che si apriva con una serie di attività culturali: un ciclo di conferenze, seminari, rassegne cinematografiche. Se avete voglia di farvi una vacanza a Palermo vi consiglio di andarci dal 31 Maggio al 6 Giugno. Qui trovate tutte le informazioni e il programma completo.
Ingredienti:
un polpo freschissimo che si muoveva ancora sul tavolo di marmo del mercato di Ballarò
un kilo di patate biologiche
un mazzetto di prezzemolo freschissimo
pepe appena macinato
cipolla, sedano e carota per gli odori
olio evo delicato
Far cuocere, dopo esservelo fatto pestare bene bene, il polpo, con pochissima acqua, tanta ne fa da solo, e gli odori. Far cuocere trenta minuti e poi lasciarlo raffreddare nella pentola. Lessare nel frattempo le patate con la loro buccia. Pelare le patate e tagliarle a tocchetti, tagliare a tocchetti anche il polpo, mescolare insieme al prezzemolo, l'olio, un pizzico di sale e una spolverata di pepe. Servire tiepido oppure lasciarlo raffreddare qualche ora nel frigo.
Io lo preferisco tiepido.
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