mercoledì 18 luglio 2012

Zuppa inglese con polvere di nocciole/ Carola Susani


Un dolce cremoso che ricorda i tempi passati e che fa venire voglia di coccole e di tempi lunghi distesi su un'amaca a leggere. E la lettura di oggi arriva fresca fresca dal premio del Lo Straniero, rivista diretta da Goffredo Fofi, che si è appena svolto a Santarcangelo dei teatri. Quest'anno il premio ha portato alla ribalta  ben cinque scrittori e alcuni di loro anche molto giovani. Tra i cinque spiccava Carola Susani  con questo suo bel libro"Eravamo bambini abbastanza", . La storia si racconta in pochissime parole: è il viaggio di un gruppo di bambini nell'Italia sgarrupata e poco felice dei giorni nostri. Viaggio fatto insieme a un ladro di bambini, personaggio demoniaco che non a caso zoppica. I bambini di età molto diverse mostrano tutte le contraddizioni e la complessità dell'infanzia. Non sono bambini buoni e non sono nemmeno cattivi, sono bambini e proprio per questo crudelissimi quando serve. E' un libro che non rassicura ma che anzi ci pone di fronte a una realtà durissima da accettare: questi bambini preferiscono vivere una vita di stenti e difficile per strada piuttosto che nelle nostre calde e accoglienti case. Ci mettono in guardia dal pensare che i bambini siano felici solo nel momento in cui tutto è perfettamente in ordine, tutto è noiosissimamente perfetto.




lunedì 9 luglio 2012

Spaghetti con barba del Negus, olive greche, tonno e limone


Dalle mie parti la barba del Negus si chiama "misericordia" e in generale questa verdura cambia nome a seconda del luogo. Provo una forte attrazione per quest'erba, per i suoi nomi cangianti, per la consistenza che ha, la forma.
Ho pensato di prepararci uno spaghettino veloce e fresco, da gustare mentre fuori imperversano Caronte e Minosse, abbinandoci un leggerissimo vino freddo tipo Trebbiano o acqua ghiacciata con fette di limone e limetta.

Inoltre voglio farvi conoscere Abdulah Sidran, poeta bosniaco, con il brano di una poesia tratta dalla raccolta Il grasso di lepre, Edizioni Casagrande, con una mia foto di Sarajevo dall'alto, scattata anni fa durante un bellissimo viaggio in macchina attraverso Croazia, Bosnia e Serbia, posti ancora fortemente segnati da Storia e guerra e, per questo motivo, fortemente "narranti".


Questa notte è irreale, silenziosa come l'inferno
che non esiste. Il mondo, le case, le cose
sono annegati nell'olio. E' il momento giusto per gli irresoluti:
bisogna scendere in punta di piedi per le scale marce,
bisogna toccare con la mano questo muro, quest'olio,
bisogna dire: Andiamo, anima mia, a prendere le armi!
(...)

Abdulah Sidran, da "Gavrilo vaneggia nella notte alla vigilia dello sparo"

lunedì 2 luglio 2012

Tortelloni verdi. Quelli della nonna Amedea


Eccoci qua, a rispolverare un vecchio piatto di famiglia e a raccontarvi come è nato.
La nonna Amedea veniva da una lunga tradizione di  street food, o meglio cibo di strada, o meglio ancora cibo da fiere. Quelle di bestiame e poco altro, perchè quando eravamo contadini e poveri le poche cose che si potevano comprare o barattare erano animali e uova con lo zucchero e il sale che chiaramente erano gli unici ingredienti che mancavano nelle famiglie.  Mia nonna fin da bambina (una volta i bambini lavoravano e non era sfruttamento minorile, ma un altro modo di crescere) accompagnava suo padre nelle fiere e insieme cucinavano i classici piatti da strada. Secondo mio padre, che come lei ha sempre avuto grandi capacità culinarie, la sua vera specialità erano le frittelle di baccalà, capaci di resuscitare i morti, a quanto si diceva in famiglia. L'altro grande piatto era lo gnocco fritto che si gonfiava e sfrigolava nella padella dello strutto bollente. Mia nonna girava con suo padre di fiera in fiera con la sua cucina mobile; da bambina me la immaginavo un po' come  Remì che si fa tutta la francia di paese in paese con un vecchio un cane e  una scimmia.  Mia nonna però mi diceva che lei di scimmie non ne aveva mai viste. Dai cibi per strada, dopo il matrimonio con mio nonno Luigi,  è passata alla conduzione di un bar-trattoria-generi alimentari (così venivano chiamati i negozi dove si poteva trovare di tutto, dal sapone al sale allo zucchero all'olio per le lampade al vino rosso che macchiava le tovaglie).  La trattoria-bar-generi alimentari si trovava  sulla strada della transumanza, e mia nonna cucinava  piatti poveri e solo per i passanti, perchè allora non c'era la moda di andare "fuori a cena".  Il paesino si trovava sul  Passo delle Radici, il  fiume Secchia costeggiava tutto il paese, e  spesso spaventava  noi bambini con le sue piene e i suoi rigonfiamenti. Sembrava voler spazzare via tutto il paese ed è proprio per questo che ad un certo punto gli uomini hanno deciso di costruire il muro da cui poi prenderà il nome il paese: Muraglione. Finita la transumanza e iniziato il boom economico, il  piccolo bar-trattoria-generi alimentari  iniziò a  preparare i pranzi dei matrimoni del paese. Ora finalmente c'erano un pò di soldi e si potevano organizzare piccole feste matrimoniali con pranzi dalle tante portate, molto simili alle vecchie sagre di paese.  E qui anche mio padre iniziò l'arte della cucina: nel vecchio album di famiglia ho ritrovato un po' di foto dove si vede mia nonna con mio padre molto giovane. Da bambina la mia foto preferita era quella di mio padre con il ciuffo alla Elvis che teneva in mano un grande castello fatto di croccante.  E io, trasognata di fronte a tale meraviglia, ho sempre sperato che anche al mio di matrimonio la nonna e mio padre mi preparassero un vero castello di croccante da offrire a me, regina per un giorno. Il sogno chiaramente non si è mai realizzato.
Le portate non erano tantissime, ma mai si potevano modificare, si iniziava con i tortellini in brodo, si passava ai tortelloni verdi, fatti con molte erbe e poca ricotta e non come si fanno a Modena con tanta ricotta e poche erbe, il lesso con la salsa verde (mio padre dichiara di avere una ricetta segretissima che non ha ancora passato a nessuno dei suoi figli), gli arrosti di coniglio e pollo, le tante torte tra cui le due regine, quella nera di mandorle e cioccolato e quella bianca di mandorle e tagliatelline. Quest'ultima è sempre stata per me una tragedia, perchè si prepara con molta lentezza e precisione e io da ragazzina, quando ho iniziato ad aiutare in cucina, non avevo né pazienza né precisione. Infine tutto veniva avvolto dalla morbida crema di una sontuosa zuppa inglese che, bagnata di rosso alchermes, a noi bambini faceva pensare al sangue delle tante ginocchia sbucciate per correre tra una portata e l'altra nel cortile a giocare a stella, a nascondino o a palla avvelenata. Non so come facessero i grandi allora a mangiare tanto e per così tante ore, ma so con certezza che, per  noi bambini, questi infiniti pranzi erano momenti di scarso controllo da parte dei grandi e quindi di grande libertà e che facevamo a gara a chi si sbucciava per primo le ginocchia senza versare una lacrima di dolore.
E ora veniamo ai tortelli che ho fatto in un sabato bollente con mia sorella e con la stessa vecchia ricetta della mia amata  nonna. Se non avete il tempo per prepararli, la stessa ricetta la potete trovare nei tortelli della Gastronomia Piccinini che ha recuperato la ricetta di mia nonna.