venerdì 6 maggio 2011

Scacciata catanese


La prima volta che ho visto Catania avevo tredici o quattordici anni e mi ricordo che in qualche modo già all'epoca si impresse nella mia mente. In seguito ci sono tornata, più di una volta e me ne sono rimaste immagini varie, sprazzi di momenti vissuti, luci, il nero della pietra vulcanica con cui sono costruiti i palazzi e naturalmente i sapori. In particolare ricordo il sapore della limonata con il sale, della gggranita (come dicono loro) alla mandorla nella brioscia mangiata a colazione nelle mattine d'estate in compagnia del fratellino minore di una mia amica di lì, il sapore della ricotta salata e quello delle tante leccornie che si trovano nei forni. Perché un forno catanese non è un forno, è una cattedrale consacrata alle papille gustative, un luogo di perdizione, il paese dei balocchi. Pizze, pizzette, cipolline, arancini e, appunto, le scacciate, ossia delle pizze ripiene come quella che vedete nella foto.
Per me è irresistibile, la mangerei sempre. Mi sono fatta insegnare come si fa!
Ha ragione Lea quando dice che ho una fissazione per la Sicilia.
Quella che vedete è preparata con l'aggiunta di broccoli, ma la classica prevede solo formaggio, olive nere, cipollotto e filetti d'acciuga.
Vi lascio anche la poesia di un poeta non catanese, ma almeno siciliano.

Si parte sempre da Greenwich
dallo zero segnato in ogni carta e in questo
grigio sereno colore d’Inghilterra.
Armi e bagagli, belle
speranze a prua,
sprezzando le tavole dei numeri
i calcoli che scattano scorrevoli
come toppe addolcite
da un olio armonioso, in un’esatta
prigione.
Troppe prede s’aggirano tra i fuochi
delle Isole, e navi al largo,
piene, panciute, buone
per essere abbordate dalla ciurma
sciamata ai Tropici
votata alla cattura
di sogni difficili, feroci.
Ed alghe, spume,
il fondo azzurro in cui
pesca il gabbiano del ritorno
posati accanto al grigio
disteso colore
degli occhi, del cuore, della mente,
guano australe ai semi
superstiti del mondo.

Bartolo Cattafi


Ingredienti:

300 g di farina 0
un cubetto di lievito di birra
un bicchiere d'acqua tiepida
un cucchiaio d'olio
un cucchiaino di zucchero
un cucchiaino di sale fino

300 g di tuma (è un formaggio tipico della zona, a pasta morbida. Se non lo trovate sostituitelo con della toma piemontese non stagionata)
un quarto di cipollotto di grandezza media
cinque o sei olive nere del tipo greco
quattro o cinque filetti di aggiuga sott'olio
sale
pepe
olio d'oliva

Spezzettare il cubetto di lievito nel mezzo bicchiere d'acqua tiepida e mescolare finché non si scioglie aggiungendo anche il cucchiaino di zucchero. In una terrina versare la farina, il sale, l'olio e l'acqua con il lievito e impastare con le mani. Aggiungere dell'acqua se necessario. Lasciare lievitare l'impasto in luogo caldo per circa un'ora. Una volta lievitato dividere l'impasto in due parti e stendere due dischi con un matterello. Ungere una teglia rotonda con dell'olio e posizionarci dentro un disco di pasta. Tagliare il formaggio a dadini; snocciolare le olive e tagliarle a pezzetti; lavare il cipollotto, privarlo della parte verde e tagliarne un quarto a striscioline verticali. Sul disco di pasta mettere il formaggio, le olive, il cipollotto e i filetti di aggiughe spezzettati (a questo punto se si vuole si possono aggiungere anche i broccoli precedentemente lessati e salati). Cospargere il tutto con un filo d'olio e spolverare di pepe nero. Coprire con l'altro disco di pasta, unirei bordi e ripiegarli un pochino verso l'interno. Bucherellare con i denti di una forchetta, ungere tutta la superficie con dell'olio e fare un buco largo un dito al centro.
Cuocere in forno a 160°C per circa mezz'ora finché la superficie non sarà dorata.

2 commenti:

  1. questa me la ricordo molto bene ed era molto buona. e brava rablù

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  2. Al posto della Tuma va bene il pecorino non stagionato o primo sale.

    La scacciata si consuma per Natale (anche se la si trova tutto l'anno) e prevede il cavolfiore catanese (detto "bastardo", tipico per il colore viola, il quale giunge a maturazione a fine novembre, inizi dicembre). Lo si "affoga" (bastaddu affucatu), ossia si lessa nel vino. Di solito si usa mettere ad ogni strato di cavolfiore olive nere, acciuga, tuma a tocchetti, cipolla, ma ognuno può decidere sul proprio gusto se togliere o meno qualcosa (io ad esempio, da lattovegetariano, tolgo l'acciuga). Questa delizia del palato va poi messa all'interno dell'impasto, distribuendola per tutta la forma. L'unzione finale si può fare con una spennellata.

    Si accompagna al vino rosso.

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