mercoledì 25 agosto 2010

Pomodori ripieni di riso (Gemista)


Tutt’intorno all’isola di Cefalonia, di certo, c’è il mare, con il suo paradigma di calette, spiagge rosse, bianche o argillose, scogli affilati e fondali diafani. Sui lembi di terra che vanno incontro all’acqua, autoctoni in vacanza, bambini troppo magri o troppo in carne, naturisti in armonia con lo sfondo sabbioso e qualche pescatore nero come un tizzone e con i capelli lunghi sbiaditi dal sole e dal sale, concentrato su una rete, su un motorino di barca che singhiozza o intrattenuto dalle onde, sgranando un rosario ortodosso che tra le dita fa tac-tac. C’è poi un’isola interna, nascosta, che è fatta di montagna pietrosa, cespugli impolverati e capre, un’isola desolata (devo dirlo, queste due parole accostate danno gran piacere di lingua!) la cui bellezza non si può affermare in senso assoluto e tuttavia esiste. Percorrendo le strade che si snodano verso l’entroterra, salta subito all’occhio un disordine spudorato: i pochi edifici che si incontrano sono sgraziate casette di cemento armato (dopo il terremoto a Cefalonia la ricostruzione ha fatto cose orrende) o baracche di lastre di metallo rugginose e tetti di amianto. Non mancano discariche di auto, cucine economiche e altre suppellettili. Le strade sono di tre tipi: la strada principale, stretta con curve spesso a 180°; la strada secondaria piena di buche e senza guard-rail e la strada sterrata, che è, in tutto e per tutto, un tratturo. La bellezza, forse, sta nella fatica e nella paura (di cadere nei dirupi) impiegate per giungere a vedere cosa c’è oltre. E’ una sorta di misticismo pagano: conoscere la polvere, mangiare la polvere, rischiare che faccia buio, rischiare di forare in mezzo al nulla, per andare a vedere dove nessuno si avventura, dove ci sono il suono dei campanacci e le facce dei pastori o delle pastore, facce chiuse, poco contente, che tuttavia rispondono ad un cenno di saluto, il luogo dei cardi spinosi che ho amato sempre, degli ulivi ritorti, del silenzio, dello stare in alto e guardare giù, dell’avere percezione dell’isola come terra chiusa dal mare.
Tornando verso la civiltà, a Lixouri o Argostoli, ci si può fermare a mangiare un pomodoro ripieno di riso, tipico della cucina greca. E’ questa la ricetta che vi lascio stavolta, prima di scomparire di nuovo, tra gli spruzzi e il Libeccio.

Nelle foto: la spiaggia di Spartià, a sudovest dell'isola, il paesaggio desertico a nord di Lagadakia e le capre sul monte Ainos.




Ingredienti (per 4 persone):

8 pomodori grandi
riso arborio (bollitene un po’, poi utilizzerete quello che serve)
un mazzetto di prezzemolo
uno spicchio d’aglio
cannella in polvere
sale
olio d’oliva

Bollire il riso al dente in acqua salata e lasciarlo raffreddare. Lavare i pomodori, tagliare un cappelletto nella parte superiore e svuotarli un po’ (togliere i semi). Mescolare al riso il prezzemolo tritato, l’aglio tritato (si può anche omettere se indigesto) e spolverarlo con la cannella. Riempire i pomodori con il riso e poggiare sulla sommità il cappello che si era precedentemente tagliato. Posizionarli in una teglia con dell’olio d’oliva e cuocere in forno per una mezz’ora.

2 commenti:

  1. Immagini bellissime di un'isola che non conosco ma che amo già. Nella ricetta il riso io lo metterei crudo perchè così rimane un pò più al dente.

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  2. Sì, si possono fare anche col riso crudo, a seconda dei gusti!

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